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IMMAGINIAMO

I giovani hanno bisogno di aiuto
gli adulti hanno bisogno di aiuto
Gli anziani hanno bisogno di aiuto
Cosa manca per colmare questo bisogno?
la comunicazione delle potenzialità, dei progetti, delle esperienze vissute
Cosa esiste in comune?
Una disperata solitudine che la tecnologia attuale, pur utile e affascinante, non permette di colmare.
La scuola potrebbe essere il luogo e la condizione del loro incontro. In una democrazia perfetta questo avverrebbe ed in isolate situazioni felice avviene, ma ahimé, ahinoi, non crea contagio. Così abbiamo fatto un sogno .. una fantasia

Immaginiamo uno spazio neutro nel quale i soggetti, poco più che bambini, preadolescenti e adolescenti, scelgano di incontrarsi per un tempo flessibile, non predeterminato

Immaginiamo uno spazio grande ex industriale, un loft come piace dire, dove le alte pareti siano libro da illustrare, forme, parole, figure, colori accesi. Colori tenui, neri, bianchi, pitture, schizzi, graffiti, impronte, foto, nati dalla fantasia dei ragazzi. Essi hanno già incontrato la scuola, le sue regole, alle quali sono stati addestrati, il che va benissimo, nella società la libertà si realizza all'interno del limite. nella scuola però spesso si sentono giudicati e non apprezzati per le doti che hanno e per l'unicità del loro essere.

Immaginiamo dei giovani adulti, che hanno compiuto da poco nella scuola un loro percorso formativo, educatori, tecnici, infermieri, medici, ecc. che all'interno e fuori del loro percorso di formazione abbiano spontaneamente e consapevolmente praticato relazioni di attenzione vivace all'altro, di ascolto delle parole e di attenzione al linguaggio del corpo. A volte essi,nel quotidiano sono oggi frustrati dall'indifferenza se non dallo scherno altrui, per le aspirazioni mostrate così in contrasto con gli atteggiamenti prevalenti. L'hanno chiamati bamboccioni, hanno messo in discussione la loro identità, che può e deve essere messa alla prova da un lavoro produttivo perché gratificante, anche nelle sue difficoltà. Sentono parlare solo di competizione aggressiva, quando vorrebbero utilizzare capacità e creatività, giustamente remunerate, ma anche messe liberamente al servizio di rapporti sociali affettuosamente sollecitati dai bisogni dell'altro.

Immaginiamo professionisti, genitori, insegnanti, funzionari pubblici che, forti delle loro esperienze di vita e lavorative si rendano disponibili ad investire nel "futuro"

Immaginiamo gli uni e gli altri frequentare insieme percorsi di formazione propedeutici mirati. Vediamoli poi, questi volontari del rapporto umano nello spazio nuovo vicino ai ragazzi, non maestri, ma sollecitatori della comunicazione: essi osservano, si lasciano osservare, assistono alle relazioni che si sviluppano, vivendole.

Immaginiamo poi degli anziani artigiani, falegnami, tipografi, pittori, ceramisti, tessitori o esperti dell'artigianato femminile, che sono stati portatori della nostra cultura locale o artigiani in altre realtà locali. Si sono sentiti dire molte volte che il mondo é cambiato velocemente, mentre loro sono un peso inutile, con la loro vecchiaia vigorosa, che non vuole arrendersi. Quello che hanno imparato e vissuto non sembra essere più necessario, la tecnologia e i mercati globali hanno spazzato via l'arte paziente e complessa di cui sono portatori. Vediamoli ora che raccontano e agiscono in questo spazio. Raccontano la loro scuola, la bottega del maestro artigiano, dove, giorno dopo giorno si recano per imparare lentamente un'arte antica e intanto forgiano e fanno forgiare un vaso, realizzare un libro, intrecciare "fili", toccano e fanno toccare i nodi di un legno, le porosità o le delicatezze, ne osservano il colore, annusano l'odore, la consistenza dei materiali. Le loro mani esperte non hanno perso l'entusiasmo, lo trasmettono, lo assaporano insieme vecchi e giovani: le mani e i corpi parlano, i ragazzi finalmente trovano e riconoscono con piacere quelle radici che non sapevano di avere.

Immaginiamo in questo spazio, nuovo all'esterno, tutto aperto all'interno, che ci sia una grande porta rossa chiusa, dietro la quale non proviene alcun rumore. Dietro la porta una stanza grande sì, ma non troppo, del tutto insonorizzata. E' la stanza dei sentimenti violenti: troppo amore, troppo odio, troppo dolore, troppo rancore, troppa rabbia, per essere espressi? I più giovani sono stati già educati a reprimere, a fare finta di niente, a simulare, a mettere la maschera, perché la madre, il padre, l'insegnante, l'amico, sono troppo importanti, perché si rischi di mostrare loro i sentimenti cos' contraddittori. E poi non sta bene, le persone educate non mostrano quello che sentono. Ebbene qui nel loft della libertà, ognuno può conquistare il diritto di scontrarsi senza paura o ritegno con le sue ambivalenze, urla singhiozzi, salti per dolore violento o per gioia traboccante, liberando in un luogo sicuro il suo lato nascosto.

Questo é il sogno che abbiamo fatto. Ora rimbocchiamoci le maniche e trapiantiamolo nella realtà.